"Saperi, sapori, culture": un blog su cibo, culture e migrazioni nato nell'ambito del progetto "Con i miei occhi, con le mie mani, con le mie parole"

venerdì 27 gennaio 2012

Intervista a Fausto Amelii

Intervista a Fausto Amelii*

Tradizione gastronomica familiare / Radici

Per me il cibo ha due dimensioni: una legata al sapere quotidiano, concreto – la tradizione culinaria che mi è stata trasmessa essenzialmente da mia madre -, l'altra più culturale, legata al mio percorso di studi, quindi una dimensione che ha a che fare con me come intellettuale, studioso della storia culturale che è anche una storia del cibo – basti pensare a tutto quel filone della storiografia, particolarmente francese, come con Le Goff, che attraverso la storia del cibo ha fatto Storia con la "A" maiuscola, storia culturale.
La prima dimensione, quella concreta, è legata – come dicevo – con la tradizione gastronomica della mia famiglia, una famiglia contadina di una zona particolare dell'Abruzzo – Teramo – dove c'è stata e c'è ancora una forte identità legata al cibo. Le tradizioni culinarie di questa zona infatti si distinguono fortemente – attraverso ricette che potremmo anche definire "strane" o "curiose" – dalla tradizione culinaria non solo italiana ma anche delle zone limitrofe.
Come dicevo queste tradizione culinaria mi è stata trasmessa da mia madre, riconosciuta da tutti come una grande cuoca, non certo per una qualche forma di "professionalità" – aver frequentato una scuola specifica, ad esempio –, ma per un sapere che aveva accumulato con la pratica viva del cucinare: veniva chiamata a cucinare nei matrimoni ed era solita preparare pranzi anche per 20-30 persone, cosa normale in una famiglia contadina di stampo patriarcale.
Anche mio padre – oggi 85enne – è stato ed è un grande cuoco, cosa abbastanza rara – in un certo contesto culturale – per un uomo. In realtà anche mio nonno – che per la divisione dei ruoli vigenti all'epoca -, non cucinava, era nei giorni di festa il padrone del forno dove si arrostiva la carne ed altre pietanze. Da qui la mia passione e attenzione al cibo, ad una tradizione popolare – cucina povera, contadina, legata alla terra - ma insieme raffinata
La storia "gastronomica" della mia famiglia – contadina, italiana, contemporanea – illumina la storia della fine del mondo contadino, dell'inurbamento, dell'emigrazione. Questa tradizione è una storia non scritta della storia italiana, perché al storia del cibo è anche storia della fame, del lavoro. Da qui l'importanza per me di questo progetto: capire non tanto – attraverso i cibi delle origini – il nostro passato, le origini (aspetto importante nella costruzione identitaria), ma illuminare il presente.

Tradizione gastronomica familiare / Infanzia

Ho cominciato a cucinare a vent'anni, quando come studente mi sono trasferito a Bologna, poiché non c'era più la mamma che poteva farlo per me. Ed è stato così, cucinando, che ho cominciato a sviluppare "memoria" e "sapere" sul cibo della mia infanzia.
Una cucina povera, legata alla terra. Molti legumi, soprattutto i fagioli (piatto tipico erano i fagioli assoluti, cioè cucinati soli, senza pasta) e alcuni legumi e cereali che oggi sono quasi spariti dalla cucina di quei luoghi poiché non si coltivano più, come il farro e la cicerchia. Molte erbe spontanee, ad esempio un'erba infestante di cui non ricordo più il nome, un'erba che si mangia sia cruda – nelle insalate – che cotta, in una minestra che mia nonna cucinava con arte. O le varie minestre di verdure e ortaggi come la ciambotta.
Poca carne, che tornava prepotentemente solo nelle feste oppure nel rito dela macellazione del maiale, di cui si utilizzava tutto, anche il sangue con il quale si preparava il sanguinaccio, che però in Abruzzo non è dolce come in altre parti d'Italia, ma salato.
Tra i mie ricordi più forti legati all'infanzia, ci sono dei cibi curiosi come la pizza di rantinia, fatta con il mais, posta nel coppo (un coperchio di ferro con bordi rialzati) e poi cotta nel forno a legna, ricoprendo il coppo con della brace. Viene chiamata anche pizza al coppo, ed è una parente lontana della polenta. Altra ricetta tradizionale è quella degli spaghetti alla chitarra, piatto tipico della cucina teramana.

Cambiamenti tradizione gastronomica familiare intervenuti nel tempo

Oltre il minor uso, come dicevamo, di alcuni legumi o cereali che oggi non si coltivano quasi più – come il farro e la cicerchia – e che da cibo contadino sono divenuti piatti ricercati, che troviamo da acquistare solo in negozi particolare, di prodotti tipici, uno dei cambiamenti fondamentali è stata la sostituzione della pasta fresca – fatta in casa – con la pasta secca acquistata in negozio. Un tempo la pasta secca era considerata "per ricchi", mentre quella fatta in casa poiché si faceva tutti i giorni era una cosa da poveri. Tutto il contrario di quello che avviene oggi.
Altro grande cambiamento riguarda l'arrivo sul mercato del parmigiano che in molte ricette ha sostituito il pecorino tradizionale, questa è al vittoria della grande distribuzione sui prodotti locali, contadini.
Anche la ritualità collegata all'uccisione del maiale è quasi del tutto scomparsa oggi

Riti gastronomici / Festività religiose, feste ed occasioni speciali

Se la cucina di tutti i giorni era una cucina che con i parametri odierni definiamo povera, la cucina delle feste era ricchissima. Soprattutto la carne – ad esclusione del bue – pollame ma soprattutto agnello. La maniera tradizionale prevedeva la cottura alla brace, con l'aggiunta di solo sale. Qui similitudini con il metodo di cottura dell'agnello nella cucina araba, similitudine che ritorna anche con gli arrosticini di carne – che un tempo era un cibo cucinato e mangiato per strada -, molto simile agli spiedini di carne preparati da Rafia a Zonarelli durante la festa comunitaria per la celebrazione dell'Aid. Un altro tipo di arrosticini erano fatti con le interiora, le mozzarelle (budellini e interiora avvolte in foglia di lattuga).
Il piatto fondamentale delle feste era la zuppa delle feste, una sorta di zuppa imperiale. In un brodo di carne (gallina) vengono messe a cuocere delle frittelline fatte con acqua, pecorino dolce e uova. Dopodiché nel brodo bollente viene messa una stracciatella di uova e cicoria. Tra i primi, un altro piatto fondamentale delle feste è il timballo di strippelle, una specie di lasagna fatta mettendo in una teglia, a strati, delle piccole crepes accompagnate da polpettine di carne minuscole, fettine di scamorza, latte e uova.
Un posto importantissimo nelle festività religiose e nelle feste avevano i dolci.
Il dolce tipico di Natale era rappresentato dai calcionetti (o calzonetti), una sorta di raviolo fritto fatto con una sfoglia ottenuta impastando farina e vino bianco e un ripieno di passato di ceci, cioccolata, marmellata d'uva, mosto cotto e mandorle tritate. Dopo la frittura venivano cosparsi di zucchero. Nelle zone di montagna al passato di ceci si sostituiva quello di castagne. Oggi non li prepara quasi più nessuno, am si acquistano in pasticceria. Altro dolce natalizio i turcinelli, dei dolcetti fritti fatti con un impasto di patate e uova.
A Carnevale le zeppole di San Giuseppe.
A Pasqua invece era tradizione regalare alle bambine la pupa e ai bambini il cavallo. Erano fatti dando la forma di una bambolina e di un cavallo alla pasta di ciambella, con un uovo (intero) nella pancia. Era un rito che i bambini aspettavano con gioia.
Per i matrimoni, ma anche nei battesimi, era consuetudine, la torta degli sposi, detta anche pizza dolce, una sorta di zuppa inglese.
Vi erano poi anche dei dolci o cibi legati a momenti particolari della vita contadina, come i biscottoni, che si preparavano per la trebbiatura. Era infatti consuetudine, nella tradizione contadina, che durante momenti particolarmente impegnativi quali la trebbiatura o la vendemmia, i vicini o i conoscenti – a loro volta contadini – venissero a dare una mano. A queste persone si offriva la colazione, il pranzo e la cena ma anche le due merende, quella mattutina e quella pomeridiana. Le merende erano appunto rappresentate dai biscottoni.
Un altro cibo particolare, ceh si preparava solo in determinate occasioni, era il fiadone, un piattoc eh possiamo definire da viaggio. Si preparava infatti per chi doveva intraprendere un viaggio, andare in un paese vicino per una fiera, ad esempio. Era una sorta di torta salata fatta al forno con uova, formaggio pecorino e pepe.
Altro cibo strettamente legato all'idea di festa – non ad una festività, ma come festa in sé – era il pane, il rituale legato al fare il pane in casa – credo con la pasta madre – , alla cottura in forno. Mentre il pane veniva cotto tutti coloro che arrivavano nei pressi dovevano dire "San Martino!", altrimenti il pane veniva male.
Lo stesso si può dire per l'uccisione del maiale o per la preparazione estiva della salsa di pomodoro, vere feste rituali, e in quanto riti accompagnate anche da tabù e divieti. Ad esempio le donne, nel periodo delle mestruazioni, non potevano fare la salsa, altrimenti questa andava a male. Significativo di una certa cultura è che ho appreso questo particolare solo da adulto.

Similitudini tradizione gastronomica teramana con cucina mediterraneo (Nord-Africa)

Indubbiamente l'uso della carne d'agnello, non solo – come abbiamo visto – per i metodi di cottura, ma anche per la tecnica di macellazione, che era halal senza saperlo. .

Cambiamenti/contaminazioni cucina familiare con esperienza migratoria

Indubbiamente anche se ho portato con me, arrivando a Bologna negli anni Settanta, il bagaglio di esperienza e sapere gastronomico del mio luogo d'origine e contesto familiare – bagaglio non solo metaforico ma anche reale poiché ogni volta che rientravo dai miei viaggi in Abruzzo portavo con me, in valigia, dei prodotti, dei cibi – questo ha subito delle contaminazioni.
Non sempre era facile trovare quello che mi occorreva per cucinare qui dei piatti teramani. Forse in quegli ani era più difficile di quanto lo sia oggi, non esistevano negozi di prodotti tipici. Era molto difficile ad esempio trovare alcune spezie come la
maggiorana, molto usata nella cucina teramana.
Anche la pasta di grano duro era una cosa che non esisteva a Bologna, si trovava solo pasta di grano tenero. Quello dei cambiamenti e delle contaminazioni con l'esperienza migratoria è un aspetto importante, che andrebbe approfondito insieme ai migranti. Speso riescono a fare delle cose buonissime – inedite – utilizzando prodotti italiani nelle loro ricette.

* Direttore Centro Interculturale Massimo Zonarelli. Intervista realizzata il 21 e 23 gennaio 2012 presso il Centro Zoanrelli, da Vincenza Perilli. Zona origine intervistato: Abruzzo (Teramo)

venerdì 13 gennaio 2012